UN’ INASPETTATA SERIE DI RAGIONI PER CUI HO PREFERITO GOMORRA A BREAKING BAD

Sebbene il mio rapporto personale con i prodotti seriali non animati (di cartoni ne ho sempre macinati a quintali) del piccolo schermo sia iniziato tardi posso dire ormai di essere un buon fedele di questa forma di intrattenimento e, per questo, devo ringraziare basilarmente una sola cosa: le sessioni di esami all’ università.

Macroeconomia, diritto privato, marketing, teologia e la preparazione di moltissime altre bestie nere è riuscita, nel corso degli anni, a nutrire dosi di spleen di taedium vitae tali che solo la costante fuga intellettiva verso Westros, Albuquerque, Nassau, lo studio ovale della Casa Bianca, la Londra vittoriana di Penny Dreadful a quella contemporanea di Sherlock, Medellin, Neo Tokyo 3 (concedetemi questa necessaria citazione animata) e molti altri mondi “Al di là dello schermo” mi ha salvato, donandomi transitorie ma grandi gioie e permanenti buchi sul libretto universitario.

È indubbio, e forse ormai scontato da ribadire, l’enorme storno di risorse artistico creative dal grande al piccolo schermo a cui negli ultimi anni (grazie alla complicità dei colossi dell’entertainment e della distribuzione e al cambio di rotta dei finanziatori) abbiamo assistito cosa che, virtuosamente, ha creato un incredibile incremento qualitativo del prodotto seriale.

Va però detto che, a tal proposito, a farla da padroni in quanto a Paesi esportatori sono stati i soliti noti USA e Gran Bretagna (per quanto concerne i prodotti della sfera più “main stream”), E BENISSIMO COSì!

Uno su tutti il capolavoro simbolo: Breaking Bad dell’americano Vince Gilligan, a produzione AMC.

Un prodotto completo sotto ogni aspetto, magistralmente scritto e interpretato da un cast stellare, mai scontato né eccessivo, lineare nella sua perfezione: insuperabile.

Insuperabile? Forse si, o almeno così credevo.

Forse però no.

Certo a molti sembrerà una bestemmia, e non posso dare torto a nessuno, dopo tutto la fruizione di qualunque prodotto intrattenitivo e/o culturale è, innanzi tutto, un’esperienza di pura soggettività.

Ho sentito a lungo parlare di Gomorra prima di decidermi a iniziarlo… era tutto in napoletano (gosh), era il TERZO adattamento del lavoro di Saviano (Gosh) dopo anche la pellicola di Garrone (GOSH), era di Sollima (non ho visto “Romanzo Criminale”, ma avendo anziani in famiglia purtroppo ho familiarità coi suoi “Un Posto al Sole” e “La Squadra”…GOSH), era di produzione Italiana (mea culpa nell’esser stato così ottuso, ma temevo l’effetto “sceneggiato RAI”….GOSH).

Molte erano le cose che temevo, una su tutte un eccesso di retorica e romanticismo nella trattazione del delicato tema della criminalità organizzata.

Poi ho visto Suburra, proprio del regista Stefano Sollima, e son rimasto folgorato dall’abilità e dalla freddezza della trattazione.

Da lì al primo “Gomorra streaming SUB ITA” (necessario) su Google è passato poco e, nel giro di quattro giorni mi son ritrovato al pari con 1 stagione e mezza di serie e con la cambiata concezione del Martedì da “Secondo giorno della settimana dopo del Lunedì e prima del Mercoledì” a “Oggi arriva il metadone!”.

Gomorra mi piace più di Breaking Bad.

Gomorra è spietato nel raccontare lo schifo della criminalità organizzata, l’inesorabile destino di assoluta decadenza e morte cui chiunque entra a contatto con la Camorra si trova vincolato: non ci sono eroi, nessun personaggio può risultarti simpatico, non puoi parteggiare per nessuno e ti ritrovi solo a sperare che, per il bene di tutti, questa lunga serie di stronzi cada il prima possibile fra le braccia della morte o del 41 Bis.

Mi ero e mi sono sinceramente stancato del pensiero di affezionarmi a criminali, omicidi e nercotrafficanti: ho amato tanto Breaking Bad quanto l’ottimo Narcos ma non nascondo il disagio provato nel razionalizzare il fatto che mi ritrovassi, sostanzialmente, a tifare “per il cattivo”.

Non voglio risultare né retorico né tanto meno buonista, e questo voglio che sia chiaro, però posso assicurarvi che innanzi alle Mirabolanti Gesta del Pablo Escobar di Chris Brancato (va detto: bellissima serie) o del Walter White di Gilligan mi è uscito più volte e naturale il “CHE FICATA!”.

Poi mi son trovato spesso a ripensarci… Quando il cattivo aveva iniziato ad essere il “più fico”, e perché?

Walter sintetizza crack, ruba, mente, spaccia, uccide… Pablo… eh…

Ho realizzato che, starò invecchiando, ma il pensiero di farmi piacere lo stronzo di turno mi riesce sempre più complesso, che anche l’etica può anzi DEVE avere la sua parte.

Gomorra è sotto questo aspetto diverso: la componente romantica e quella retorica vengono quasi completamente meno e quello che Sollima e la sua squadra ci mettono davanti è per l’appunto solo un macello, una bolgia infernale e spaventosa in cui una serie di pedine spinte dai più bassi dei sentimenti e degli stimoli umani si scannano fra di loro in un grandguignolesco teatro di morte e sangue.

Lo spettatore non può altro che starsene lì attonito davanti allo schermo: non può, non deve E NON VUOLE minimamente far parte di tutto questo, non ha eroi o personaggi preferiti, non simpatizza per nessuno ma si trova ad aspettare solo il momento in cui “Ciascuno avrà quel che si merita”.

Scampia e un Far West partenopeo e così è raccontato (e non a caso è di questi giorni che il prossimo serial a firma Sollima sarà “Colt” una serie ideata da Sergio Leone), complice di un cast incredibile di attori di ottimo livello e di due vere e proprie perle rare: la fotografia di Paolo Carnera Michele D’Attanasio (scene che sono, né più né meno, una serie di poster dalla composizione impeccabile) e la musica dei Mokadelic (combo italiana di post-rock/psichedelico che è stata capace di riflettere in musica l’esatto catalizzatore fra le atmosfere del serial e le sensazioni dello spettatore).

Certo non c’è Los Pollos Hermanos, non c’è Jessee “Bitch” Pinkman, manca Saul Goodman (ne approfitto qui per caldeggiarvi lo spin Off “Better Call Saul”, per certi versi, per lo più estetici, superiore allo stesso “Breaking Bad”), manca il fascino del terzo, dello straniero e “alieno”: e questo è un altro canestro segnato da Gomorra.

Scampia è lì, in casa di tutti noi, e i tentacoli della mafia (che sia Don Pietro Savastano, suo figlio Genny, il subdolo Ciro Di Marzio, Salvatore Conte o il Don di turno) lo sai che potrebbero essere già arrivati, anzi quasi sicuramente lo hanno già fatto, sotto casa tua: Gomorra ti mette paura, e lo fa per davvero e senza mezzi termini.

E l’uso del dialetto napoletano (che è vero, rende necessari i sottotitoli) è un’altra ottima arma perfettamente sfruttata dalla produzione, quindi non lasciatevi intimorire da quello che, vedrete, si rivelerà un ulteriore valore aggiunto e non un handicap.

Gomorra è un gioiello il cui successo ha già raggiunto un totale di 113 paesi e che si è già visto confermare una terza e una quarta serie.

Non lasciatevi quindi intimorire, come scioccamente feci io in un primo momento, da quella che può sembrare un grosso bagaglio di potenziali punti deboli: odierete, temerete, avrete schifo e ribrezzo dei personaggi di Gomorra e delle loro inquietantemente reali vicende al punto di innamorarvi totalmente di questa impeccabile serie.