Dopo una lunga carriera si è spento a ottantatré anni l’attore Omar Sharif, interprete di un classico del cinema Il Dottor Zivago, affresco grandioso del Novecento russo.
Sulle pareti del salotto del nostro immaginario è appeso da qualche parte quel film, se non tutto almeno per certi fotogrammi, che sono diventati la storia del cinema popolare o la rappresentazione della Storia, della Grande Storia che, come per i romanzi ottocenteschi, intreccia le piccole esistenze dei protagonisti.
Indimenticabili la scena finale, il tram e l’illusione di scorgere tra i passanti la figura amata, le nottate nella neve, la musica struggente del Tema di Lara, i grandi campi lunghi con le battaglie, le stazioni ferroviarie, gli interni della Mosca borghese e le vie insaguinate dalla repressione zarista.
Prodotto nel 1964 da Carlo Ponti e dal regista David Lean (1908-91), Il Dottor Zivago girato in Spagna, Finlandia e Canada, è tratto dal romanzo omonimo di Boris Pasternak (1890-1960), scrittore russo di origine ebraica, Nobel per la letteratura 1958, mai ritirato a causa della dittatura russa.
Pubblicato in Italia per la prima volta nel 1957 da Feltrinelli, suscitò una reazione da parte della critica di regime. Adattato e sfrondato dall’inglese Robert Bolt, il film (Premi Oscar: musica, sceneggiatura, fotografia, scenografia – arredamento e costumi ) è un racconto sentimentale filtrato dallo sguardo di Omar Sharif, il dottore e poeta, che con il suo racconto d’amore ha fatto piangere milioni di spettatori, compresi i soci dell’Academy.
La Trama. Prima guerra mondiale: Yurij Andrèevic Zivago (Omar Sharif), medico e poeta sposa la cugina Tonja (Geraldine Chaplin). A Mosca ci sono ancora feste eleganti tra i tumulti del popolo e, dopo una serie di prime coincidenze significative e incontri casuali, al fronte si innamora della crocerossina Lara Antipov (Julie Christie).
Istantanea: il loro primo addio alla chiusura del loro improvvisato ospedale, Lara illuminata di grazia batte quel ferro da stiro sulla biancheria e parla del loro amore, è la premessa del primo di tanti addii, Lara di spalle che si allontana, i girasoli in un vaso che appassiscono, la musica di Maurice Jarre.
1917, scoppia la rivoluzione bolscevica: Yurij, dopo un estenuante viaggio in un carro bestiame, si rifugia con moglie e figlio in un villaggio degli Urali dove incontra di nuovo Lara e complice i suoi studi nella biblioteca ne diventa davvero l’amante.
I soldati della guerra civile lo rapiscono e lui diviene medico di guerra per due anni. Mentre Tonja con i due figli ripara all’estero, Zivago fugge e si ricongiunge con Lara: sono le notti ghiacciate negli Urali in cui tra i lupi e gli spari compone le sue poesie. Le vicende politiche li dividono ancora. Nella neve avviene l’ultimo drammatico addio. La slitta se ne va e lui la guarda.
Anni dopo, Yurij morirà solo a Mosca, di una crisi cardiaca, proprio nel momento in cui dal tram gli sembrerà di scorgere l’amore della sua intera vita.
Tipicamente nel periodo natalizio o nelle calde estati degli anni ’80, quando la Rai trasmetteva le rassegne cinematografiche (“I divi a confronto” o “Generi a confronto”, le introduzioni di Claudio G. Fava, più semplicemente i “Lunedi film” o il “Cinema in grande” il venerdi sera), era immancabile una messa in onda de Il Dottor Zivago.
Il nostro immaginario si è nutrito di questa grande storia. Il cinema è così: popolare e avvincente, un amore invincibile e intramontabile, quello di Yurij per Lara, che attraversa e assorbe una intera esistenza, un tracciato di incontri e di addii. Un po’ abbiamo creduto che il grande amore sia questo.
E lo sfondo della Storia che intreccia le piccole esistenze, Yurij medico e chirurgo dell’anima, affettuoso e sempre dedito alla famiglia, ma con dentro il suo sentimento per Lara.
Altri personaggi sullo sfondo come in un quadro impressionista, aristocratici violenti, borghesi imbruttiti, leader idealisti e crudeli, compagni bolscevichi gretti.
Una critica alla Rivoluzione e una dolorosa immagine della Guerra, ma soprattutto gli oggetti, la balalaika, il ferro da stiro, la slitta, la pistola, la neve, simboli emblematici che aprono ricordi e memorie, prima agli stessi protagonisti e indirettamente a noi.
Gli addii, concreti e reali, lancinanti, ma mai definitivi.
Il pretesto per iniziare il film è una speranza del fratello di Yurij, anche dopo che il medico è morto, di ricercare quella bimba dispersa che ha il naturale dono di suonare lo strumento amato dal presunto padre.
Ma è davvero lei? non lo sapremo, ma abbiamo la certezza che l’Amore di Yurij e Lara continuerà almeno nel ricordo.
Questo oggetto estetico, questo film e i suoi interpreti attraverso il cinema e la televisione hanno costituito per gli spettatori uno specchio della possibilità di essere sentimentali, di pensare che possa esistere una sfaccettatura della realtà complessa di simboli, piccole sensazioni, richiami, è una grande e piccola storia che enfatizza coincidenze, incontri e percorsi che segnano l’esistenza di chi li vive, anche dopo la morte.
La magia del Cinema grazie a Omar Sharif e alla sua interpretazione partecipata e romantica di Yurij Zivago ci permette, come spettatori, di entrare dentro la storia, di riviverla con i suoi occhi poetici, ci commuove e ci fa essere empaticamente nella consapevolezza: è l’impossibilità di cambiare il corso al destino, certi amori non si vivranno se non a momenti, ma non smettiamo di sperare, fino all’ultimo, che tra la folla per caso un giorno potremo rivedere quel volto amato e forse ricongiungerci per un attimo alla felicità breve, quella Felicità, che abbiamo un tempo vissuto.
Da rivedere: Il Dottor Zivago, USA 1965, di D. Lean, drammatico, 192′
Da leggere: Il Dottor Zivago, di Boris Pasternak, Feltrinelli
Da ascoltare: Il Tema di Lara e la colonna sonora di Maurice Jarre e anche la canzone “Dove non so” (di Giorgio Calabrese / Musiche di M. Jarre) nella interpretazione di Rita Pavone o Connie Francis