L’AMANTE (CHE NON AMA) DI MARGUERITE DURAS

Era il 1984 quando Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, vinse il celebre premio Goncourt per il suo libro “L’amante”.

Nacque nel 1914 nei pressi di Saigon, attuale Vietnam, da due coloni francesi; il padre, Henri, era dirigente scolastico, mentre la madre, Marie, un’insegnate.

Marguerite trascorse l’infanzia all’insegna di un travagliato rapporto con la madre rimasta vedova, di una profonda gelosia nei confronti dei suoi fratelli che, al contempo, amava e desiderava proteggere follemente.

Nel panorama puerile della scrittrice c’era l’Indocina, con la sua giungla, le sue malattie e la povertà irrimediabile della società coloniale nei primi anni del ‘900.

Il profondo e quotidiano contatto con la natura fu ciò che più mancò alla scrittrice quando, nel 1932, si traferì in Francia per proseguire i suoi studi.

Il libro nacque da un percorso di ricordo dei tempi passati, da una meditazione su un amore reale e carnale; nella storia, che si aggrappa alla realtà della memoria, vive un racconto concreto e violento in cui una giovane quindicenne, l’autrice, conosce per la prima volta l’amore.

Un amore fulmineo e incontrastabile, che la coinvolse senza lasciarle possibilità di scelta; in questo racconto prende vita l’idea di amore piuttosto che l’amore vero e proprio, c’è una sovversione tra immaginario e realtà, una (con)fusione indistricabile tra pancia e cuore.

In poco più di cento pagine l’autrice riportò una cronaca di vita vissuta che rappresenta in modo calzante e tremendamente crudo la visione dell’amore odierno; un sentimento però ben lontano dalle rappresentazioni stereotipate degli ultimi tempi, come la trilogia delle 50 sfumature, in cui fruste e manette prendono il posto delle parole.

Nel rapporto con il suo amante, Marguerite sfogava l’odio nei confronti della madre, le ingiustizie delle quali era vittima ed il suo sentirsi fuori posto nella società in cui viveva.

L’abnegazione del proprio io ed il rifiuto della felicità a priori, queste furono le caratteristiche alla base del rapporto con l’amante cinese; un anno e mezzo di storia in cui non ci fu traccia del desiderio di conoscenza dell’altro, ma l’egoismo carnale in funzione dell’altro.

La scrittrice racconta quasi con distacco, parlando di se’ da giovane in terza persona, disdicendo ed a volte criticando il comportamento di quella quindicenne curiosa e colpevole che era stata.

La storia tra i due amanti è resa ulteriormente tragica dalle rispettive condizioni sociali dei due: lui, figlio di un miliardario cinese, lei, orfana di padre e parte di una famiglia disgregata e povera. Marguerite cercava in quell’umano una risposta al dolore quotidiano che sopportava; perse il fratellino minore e dopo anni anche la madre, una madre non curante della sua evoluzione da bambina a donna, un’evoluzione troppo improvvisa, che la segnò a lungo.

Il desiderio viscerale tra i due protagonisti del libro si mescola con il caldo afoso di Saigon, una nebbia torrida di sensazioni e parole non dette che si fanno strada nei canali dei rimpianti.

Un amore che, apparentemente, è l’opposto di quello cortese di Dante e Petrarca; se in uno c’è il desiderio del corpo che avanza impietoso dei sentimenti, nell’altro vi è l’idealizzazione di una comunione di spiriti volta al raggiungimento di una dimensione superiore. Queste due visioni dell’amore sembrano così lontane e contrastanti, quasi fossero due dimensioni che non possono coesistere.

L’amante di Cholen, come lo chiamava l’autrice, non le parlava, non la portava fuori, ma la conosceva esaminando ogni centimetro del suo corpo, assecondando le vie del piacere per poi tornare nel silenzio.

Fu solo quando la scrittrice partì per Parigi che ebbe la lucidità ed il tempo di capire, di conoscere veramente quell’uomo che le era stato così vicino da sembrare lontano; sul ponte della nave allora, con calma e rabbia, pianse. Pianse per quell’amore che non aveva conosciuto davvero, per le parole non dette e per l’odio verso colui che le aveva rubato l’innocenza.

Nel leggere quelle parole, quella tristezza, viene quasi il dubbio: ma lui l’amò mai? Dove stava la linea tra il desiderio dell’altro ed il proprio donarsi all’altro?

Con amarezza ci si sente presi in giro, come se in cento pagine ci avessero abbagliati senza che ce ne accorgessimo.

Un breve romanzo molto intenso, questo è “L’Amante” di Marguerite Duras, di un’attualità sconvolgente: una conferma che la violenza più forte non è quella subita dal corpo, ma quella che stravolge l’anima.