L’ARTE A POIS DI YAYOI KUSAMA

Tratto da “Infinity Net. La mia autobiografia di Yayoi Kusama”

“Quando mi sentivo triste, salivo sull’Empire State Building. […]

In cima al più alto grattacielo esistente sentivo che ogni cosa era possibile.

Un giorno, lì a New York, avrei stretto tutto ciò che volevo in quelle mie mani vuote. […]

Il mio impegno per attuare una rivoluzione nell’arte ttale

che sentivo il sangue ribollire nelle vene e dimenticavo la fame”

 Yayoi Kusama

Yayoi Kusama è una artista giapponese, attiva a New York negli anni 70. Sbarcata nella Grande Mela nei primi anni 50, riuscì in poco tempo a conquistare il popolo americano con la sua arte, diventando una delle donne più apprezzate a livello mondiale. Oggi, ha 87 anni e continua a creare opere artistiche nel suo studio di Tokyo.

Donna piccola, minuta, capelli neri, con i suoi vestiti e occhiali stravaganti può essere definita la Lady Gaga dell’arte. Con il suo stile influenzò la pop art di Andy Warhol e Roy Lichtenstein ed entrò in contatto con artisti del calibro di Georgia O’keeffe, Joseph Cornell e Donald Judd. Possiamo definirla un genio, folle non a caso, che attraverso la ripetizione seriale dei suoi pois sulle pareti, ha creato un’arte originale ed innovativa.

I DIFFICILI RAPPORTI FAMILIARI

Nasce nel 1929 a Matsumoto una paesino tra le montagne a 200 km da Tokyo. La sua famiglia è benestante, ma possiede una mentalità molto conservatrice. Il padre è un donnaiolo, frequenta bordelli e altre donne, la madre, forte e severa, continuamente arrabbiata con lui, scarica il suo nervoso sulla figlia, criticandola per il suo carattere introverso. Il clima familiare, in costante agitazione, crea diverse ansie a yayoi, già disturbata psicologicamente per la sua personalità.

L’educazione familiare rigida e il tema delle relazioni uomo-donna tabù, crea forte attriti tra Yayoi, i suoi genitori e la società. Fin dall’infanzia soffre di disturbi della personalità, ha allucinazioni visive e uditive, ansie ossessive  e si ritrova spesso a parlare con piante e animali: “Ogni violetta aveva una sua fisionomia, una propria individualità e mi parlava come esseri umani”.

Consapevole del suo regno di illusioni, vive con orrore questa realtà. Ai quei tempi, la psichiatria non era accettata come oggi e Yayoi lotta contro le sue inquietudini da sola. L’unico modo per reagire era rappresentare con disegni ciò che vedeva, trasportando la sua fantasia su carta.

Un giorno fissavo la tovaglia a fiori rossi, distolsi lo sguardo dal tavolo e mi accorsi che lo stesso motivo era stampato sul soffitto, persino sulle finestre e colonne. Tutta la stanza, il mio corpo, l’universo erano ricoperti di fiori rossi e io scomparivo, ritrovando il mio posto nel tempo eterno e nello spazio assoluto”.

Anche il sesso viene vissuto in maniera negativa. Dalla madre, le viene inculcato come qualcosa di sporco, di cui vergognarsi e tenere nascosto. In famiglia si parla di matrimoni combinati, precludendole ogni possibilità di amore romantico. Questi divieti, verranno somatizzati da Yayoi, diventando parte della sua creatività.

Attraverso queste percezioni illusorie e tabù, nasce la sua arte. Ciò che ritrae, è dentro di sé e come una terapia, la usa per superare le sue paure realizzando opere che esprimano il suo disagio interiore. Le sue fobie, nate dall’infanzia, saranno il centro delle sue creazioni più famose.

Gli “Infinity Net” sono il primo successo creativo: una trama ripetuta più volte sulla tela, che raffigurerà in grandi dimensioni, fino a ricoprire, pavimenti, tavoli, sedie  e stanze intere. “Mettendo insieme le singole particelle quantiche, negativi di gocce che costituivano le maglie della rete, aspiravo a predire l’infinità dello spazio, a misurarla dal punto di vista in cui mi trovavo”.

La sua ossessione per le zucche, ortaggio da cui rimane catturata per la sua forma sinuosa e per gli organi genitali maschili, la portano alla evoluzione degli Infinity Nets, che con il tempo  si espandono al di là della tela, infrangono la dimensione ipnotica della bidimensionalità e diventano materia da toccare.

Yayoi le chiama Soft Sculptures, sculture morbide, con cui riempirà stanze intere permettendo anche l’interazione delle opere dal parte del pubblico. La zucca di enormi dimensioni raffigurata a Naoshima, le stanze con gli specchi o con falli al centro della stanza, saranno solo alcune delle idee che metterà a frutto a New York.

Il suo desiderio di partire per l’America nasce anche dalla scoperta di un libro trovato in un mercatino, che ritrae le opere di Georgia O’Keeffe, moglie del fotografo americano Alfred Stieglitz . Rimane così colpita dalla sua arte a tal punto da iniziare una corrispondenza con l’artista del Texas, che durerà diversi anni, fino alla conoscenza in prima persona negli Stati Uniti.

TRASFERIMENTO IN AMERICA

Nel 1957, all’età di 28 anni,  si trasferisce in America all’inseguimento dei suoi sogni e della necessità di realizzarsi come artista.

L’arte è parte di Yayoi, la sua terapia emozionale, oltre ad essere fermamente convinta di dover esportare la sua arte come fosse una missione. I primi anni sono molto duri. Non ha soldi, spesso non mangia e impiega i pochi dollari nell’acquistare colori e tele.

Spesso vittima di crolli nervosi si rifugia nella sua arte dipingendo in modo ossessivo intere pareti e soffitti del suo studio, con movimenti ripetitori infiniti della stessa trama. L’estro creativo esce dagli schemi, arrivando alla pittura del body painting sul suo corpo, gambe, braccia e vestiti, fino a scomparire nello spazio circostante.

Dopo appena 3 anni in America, inizia a vedere i risultati del suo lavoro e ad esporre in alcune gallerie di rilievo. Inizialmente con le Infinity nets monocrome, realizzate su tele di grosse dimensioni, poi con le Self Obliteration, che consistono nel ricoprire pareti, oggetti  e corpi con dei pois, in cui la stessa artista, indossando vestiti a tema, si annulla nello spazio circostante.

Sempre in costante mutamento ed espressione creativa, negli anni ‘70 si sposta verso l’ideazione di opere tridimensionali, come le soft Sculpture, dove ritrae peni e organi maschili di grosse dimensioni.

Nel 1965 nasce l’opera “Infinity Miror Room”. La sua arte si moltiplica, attraverso l’utilizzo di specchi applicati alle pareti e di falli bianchi ricoperti di puntini rossi al centro della sala. Gli specchi riflettono all’infinito l’opera, permettendo ai visitatori di camminare in mezzo alla stanza, diventando tutt’uno con le sculture e sperimentando la fusione dei propri movimenti con l’opera.

Tra le varie installazioni esposte vi è “Love Forever” . Yayoi consegna ai visitatori un badje con la scritta “Love Forever” e inserisce degli specchi appesi nelle quattro pareti della stanza. Sul soffitto, luci rosse, bianche, azzurre, verdi, gialle a intermittenza che cambiano forma  e velocità creando immagini psichedeliche e un caleidoscopio che si propagava in diversi punti, facendo impazzire chiunque entri nella camera.

Nella sua arte non solo rappresenta il suo mondo interiore, ma mostra al pubblico le sue ossessioni, condividendo il suo stato animo e i suoi pensieri. Questa opera è un monumento all’amore, l’estasi che prova la stessa artista nei giorni in cui si sente viva, come metafora del sentirsi amati in un mondo effimero.

PERIODO HIPPY E SEX HAPPENING

Dieci anni dopo il suo arrivo in America, intorno agli anni 70, a New York,  scoppia il movimento Hippie, un gruppo di giovani che si ribellano alla meccanizzazione e informazione della cultura americana a favore del recupero di una dimensione più umana. Il “ritorno alla natura” a cui auspicavano, prevedeva una liberazione sessuale, analizzando le varie forme espressive, dal sadismo, masochismo, all’omosessualità.

Le abitudini hippie si sposano con le ossessioni di Yayoi per il sesso, trovando terreno fertile per scioccare lo spettatore. Il desiderio di Kusama è fare una  “rivoluzione sessuale”, liberando le persone dall’astinenza, dai tabù, portarli alla liberazione dei pregiudizi e fornire luoghi di aggregazione per potersi esprimere.

Nascono i Kusama Happenings, uniti al body painting  a pois , che prevedono eventi, nel suo studio o all’aria aperta a sfondo sessuale, con uomini e donne nudi, gay, lesbiche ed etero, intenti in atti sessuali espliciti di gruppo. A causa di tali performance, rappresentate in luoghi pubblici, l’irruzione della polizia è costante e Yayoi viene arresta e messa a processo diverse volte.

Gli happenings continuano e riscuotono successo in pochi mesi, portando Yayoi ad essere la donna più discussa d’America, definita dai giornalisti, la “regina degli hippie”. Sui giornali, viene descritta come “donna facile”, ma l’artista non parteciperà mai in prima persona agli eventi e sarà solo l’ideatrice e la coreografa.

La sua fama arriva fino in Europa dove verrà chiamata a realizzare i suoi eventi. Comparirà per ben due volte sulla copertina del Daily News, inarrivabile persino per alcune celebrità di Broadway. “Questo accade perché do alla gente ciò che i tempi richiedono. La libertà sessuale di esprimersi” .

Il suo pensiero è portabandiera anche del movimento omosessuale americano, diventandone una icona. Sono gli anni dei Moti di Stonewall che vedranno nel 1969 la nascita delle prime rivoluzioni omosessuali nelle strade, le quali sfoceranno in violenze, lotte e alla nascita del Gay Pride. Non a caso, uno dei suoi happening si intitola “Homosexuality Wedding”  e inneggia all’amore libero, uscendo dagli schemi repressivi che la società impone.

Se inizialmente gli Happening nascono come espressione artistica di rivolta sessuale, con il tempo assumono significati più profondi e vengono legati alla denuncia anche di altre tematiche, dividendosi in 3 categorie: quelli artistici; politici, che riflettono il panorama storico sociale, come l’opposizione della guerra del Vietnam o delle elezioni presidenziali americane e quelli musicali e di moda, che avrebbero avuto fini commerciali e di business.

Tra i più noti realizzati vi fu il Body Painting Festival, organizzato contro la guerra,  dove numerosi uomini e donne, si denudarono e bruciarono una sessantina di bandiere a stelle e strisce, per poi finire in un’orgia. Tutto questo si svolse davanti alla cattedrale di St. Patrick, sulla 5th Avenue, mentre dentro si stava celebrando la messa.

Un altro evento fu realizzato al Museum of Modern Art intitolato “Wake the Dead: grande orgia al MOMA”. Otto partecipanti erano nudi in pose stucchevoli , simili a quelli delle statue all’interno della fontana nel giardino del museo, mentre Yayoi arringava la folla al grido di “Facciamo l’amore”.

La performance era una denuncia verso l’arte moderna del museo che ospitava artisti del calibro di Cézanne, Van Gogh, Picasso e Renoir, pittori ormai vecchi o morti, lasciando perire, secondo Yayoi, artisti di talento ancora vivi e presenti sulla scena americana.

Questa rivoluzione sessuale hippie, toccò tutte le sfere della società, anche la più borghese. Chi partecipava ai festini in studio erano avvocati, medici o professori universitari. Successivamente le feste si spostarono in alberghi come il Plaza, il Pierre o New York Palace, fino a coinvolge attori e attrici di Hollywood, che ne fecero eventi mondani di routine.

Negli anni ‘70 fonda la Kusama Fashion Co. che si occupa di produrre vestiti e vendere abiti e tessuti in stile Kusama. Vi era anche la Nude Fashion che produceva abiti per feste a sfondo sessuale, con aperture sui seni, sederi e genitali che permettevano di fare sesso senza spogliarsi.

Nel 2012 grazie a Marc Jacobs, conoscerà Louis Vuitton, con il quale svolgerà una delle più grandi collaborazioni artistiche per la maison francese. Verranno realizzati numerosi capi d’abbigliamento che riportano gli ossessivi pois, grandi e colorati. Insieme alle borse, saranno realizzati articoli di pelletteria, quali portafogli, pochettes, portamonete, bracciali, scarpe, nonché teli mare, parei, e foulard, che oltre ai pois, riportano le zucche ed i nervi biomorfici, caratteristici dell’arte di Kusama.

L’arte di Yayoi Kusama è sempre in movimento. Dopo la pittura e la moda approda anche  al cinema con il suo film Kusama’s self-obliteration girato a Woodstock, New York e nel suo studio, dove mostra la sua arte di body painting a pois e le sue performance artistiche. Il film vincerà diversi premi e verrà proiettato anche in discoteche, palestre e spazi all’aperto negli Stati uniti.

 RITORNO IN GIAPPONE

Nel 1975, dopo aver girato l’America e l’Europa, esposto nelle più importanti gallerie mondiali ed essere ormai una figura di spicco nell’arte, Yayoi Kusama torna in Giappone, decisa ad affermare la sua arte nella terra natia ed affrontare la mentalità bigotta e piena di pregiudizi del continente orientale.

La fama americana degli happening  la precede, trovando duri scontri con la popolazione locale e i giornalisti, che la definiscono la “regina degli happening nudisti” o “vergogna della nazione” , portandola alla rottura definitiva con la famiglia.

A causa del progredire dei suoi disturbi cronici viene ricoverata all’ospedale di Shinjuku e rimanere sotto osservazione. Dal 1977 sarà ospite fissa presso il Seiwa Hospital a Tokyo, ma questo non le impedirà di affittare un atelier davanti all’ospedale e recarsi ogni giorno per dipingere.

In questo periodo, inizia a dedicarsi anche alla scrittura di libri e poesie, che la porterà alla creazione di numerose narrative sulla sua condizione mentale e artistica. Conosce il regista Marakamy Ryū con cui avrà una collaborazione, recitando una parte nel suo film “Tokyo Decadence” e nel 1991, dopo aver esposto in varie gallerie di rilievo in Giappone, rappresenta il suo continente, come artista ufficiale alla Biennale di Venezia.

 AMORI PLATONICI E AMICIZIE ARTISTICHE

Durante l’arco della sua vita, nella biografia di Yayoi Kusama, vengono narrati amori platonici, con cui intreccia legami di collaborazioni artistiche o sentimentali. Oltre alla sua mentore Georgia O’Keffe, che più volte le ha scritto lettere di incoraggiamento, acquistato suoi quadri e presentato alcuni galleristi, deve molto anche a Donald Judd, maggior esponente del Minimalismo americano e critico d’arte che ha sempre esaltato le sue opere.

Il suo rapporto più “intimo” è stato però, quello con l’artista Joseph Cornell, ormai sessantenne. La psiche di Yayoi, trova un incastro perfetto con i disturbi di Joseph, uomo fragile e disturbato, cattolico devoto, complessato sessualmente a causa della severa autorità e dell’amore morboso della  madre, la quale, non faceva altro che ripetergli, di quanto le donne fossero sporche.

Il loro rapporto crea ansie a Yayoi, la quale nonostante sia affascinata dall’estro artistico di Joseph,  risente della sua produzione lavorativa. Joseph la chiamava in continuazione tenendola al telefono anche per 4 o 5 ore di seguito. Il loro rapporto finirà a causa della morte di Cornell.

Donna poliedrica, in crescente mutamento, Yayoi Kusama ha esplorato qualsiasi realtà artistica, dalla pittura, alla scrittura, moda e cinema. Le sue opere sono esposte in mostre permanenti in vari musei di importanza mondiale, come il Museum of Modern Art di New York, Walker Art Center nel Minneapolis, Tate Modern a Londra, Centre Pompidou di Parigi e al National Museum of Modern Art di Tokyo.

Numerose sculture a forma di piante e fiori giganteschi, si trovano al Fukuoka Municipal Museum of Art e Matsumoto City Museum of Art in Giappone, Eurolille a Lille, Francia e al Beverly Hills City Council a Los Angeles.

Una artista, che nonostante i suoi disturbi è riuscita a mischiare illusione e realtà, convogliando pensieri, valori e principi nella sua arte, diffondendola in tutto il mondo e rendendola parte integrante della storia artistica degli anni Settanta.

La sua produzione artistica la portò anche alla realizzazione di immagini per il libro di Lewis Carroll “Alice nel paese delle meraviglie”, storia fantastica e surreale, in cui i disegni di Yayoi si sposano perfettamente con il racconto. Non a caso, in una intervista, sosterrà “Io, Kusama, sono la moderna Alice nel paese delle meraviglie”.