PICCOLE BUGIE TRA AMICI DI GUILLAME CANET – IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA FRANCESE

I “cugini” francesi, da sempre nostri rivali in campo artistico, vantano una tradizione cinematografica ricca e proficua. Terra d’avanguardie e di sperimentazione, la Francia ha saputo donare alla Settima Arte titoli e registi destinati a brillare nella storia.

Il cinema francese ha inoltre il coraggio di investire sui nuovi talenti, forieri di cambiamento e innovazione in un campo artistico avido di rinnovamento. Negli ultimi anni, il grande schermo ha visto molti nomi di questa terra dare il meglio di se in pellicole degne di nota, notevoli esempi di cinema d’autore piuttosto che rare dimostrazioni del nuovo cinema di genere.

Guillame Canet, attore e regista molto conosciuto in patria, è uno degli esempi più lampanti della vivacità produttiva e intellettuale del cinema francese.

Con all’attivo più di 30 film come attore e una decina come regista, Canet porta sul grande schermo storie che raccontano ogni sfaccettatura dell’animo umano, passando dal drammatico alla commedia, virando su sfumature noir tanto care alla sua terra d’origine.

Nel suo settimo lungometraggio, Les Petit Mouchoirs (da noi Piccole Bugie Tra Amici) il regista racconta la storia di un gruppo d’amici in vacanza, alle prese con rapporti interpersonali complessi, ricchi di contraddizioni e segreti.

Parigi, anni 2000. Max e il suo folto gruppo di amici stanno per partire per il loro solito ritiro estivo nella casa di Cap Ferret; pochi giorni prima della partenza, il loro amico Ludo é vittima di un incidente stradale che gli procura il coma. Nonostante questo, gli altri decidono di partire ugualmente tra sensi di colpa, parole non dette e amori in bilico.

In questo il film, il riferimento a The Big Chill è palese. Dalla colonna sonora (in cui fanno da padrone brani suggestivi del repertorio rock anni ’70), dagli archetipi dei personaggi mostrati, alla cornice narrativa ogni dettaglio ricorda il grande classico della New Hollywood.

A differenza del film di Kasdan, però, i protagonisti di Canet non convivono con l’ingombrante fantasma del Vietnam e con il crollo del sogno americano; sono dei borghesi, perlopiù annoiati, oppressi dalla routine e dalle convenzioni, vincolati da rapporti che ormai puzzano d’abitudine e solitudine reciproca.

L’aspetto corale della pellicola non impedisce alla sceneggiatura di sviscerare i caratteri di ciascun personaggio: Max, il padrone di casa. É un “nuovo ricco” che spasima per dimostrare agli amici di una vita il suo successo e la sua nuova condizione economica, cedendo miseramente alla sua nevrosi quando scopre che Vincent, giovane dottore con moglie e figlio, si é inspiegabilmente innamorato di lui.

Una delle linee narrative principali sarà quella che seguirà il cambiamento del loro rapporto, permeato da una tensione quasi insopportabile che finirà col rovinare la vacanza a tutti. Eric, l’attore del gruppo, é un donnaiolo incallito che dietro alla maschera di conquistatore nasconde un grande dolore, dovuto all’ennesima storia finita male.

Ha un rapporto particolare con Marie, fragile e intensa, che si concede al sesso occasionale essendo incapace di tessere una vera e propria relazione. Concludono il quadro Antoine, che aspetta invano i messaggi della sua ex destinata ad un altro, Vero, la moglie forte e volitiva di Max e Isabelle, moglie di Vincent, insoddisfatta dal suo matrimonio.

I personaggi vivono la loro convivenza con apparente spensieratezza, concedendosi gite in barca e pranzi costosi, aderendo perfettamente allo stereotipo borghese del loro ambiente.

Ciò che manca é la vera condivisione, la superficialità del rapporto viene incrinata solo in rare occasioni a due, non sempre serene. I segreti e le incomprensioni pendono su di loro come tante spade di Damocle, destinate a rompere il fragile equilibrio solo sul finale, quando il dolore li riavvicinerà tutti, escamotage forse banale ma mai così realistico.

Il film scorre piacevolmente senza virtuosismi, stupendo lo spettatore con azzeccatissime scelte di montaggio, che emozionano e non si fanno facilmente dimenticare. La caratterizzazione dei personaggi soddisfa senza risultare verbosa, e riesce ad intrecciare i vari caratteri senza sforzo.

Le location donano alla pellicola un allure tutto francese, dalle spiagge bianche di Cap Ferret ai tradizionali bistrot. Il registe riesce a dare nuova linfa ad un tema già ripetutamente trattato, senza lasciarsi tentare dal filone patetico del “Anche i ricchi piangono”, regalando allo spettatore una storia in cui ritrovarsi, commuoversi e, perché no, fare autocritica.