Viviamo in un mondo dove, ancor prima che essendo leader politici, religiosi, monopolisti, il successo e la piena approvazione del pubblico (“ammaestrato”, direbbe Guccini) vengono raggiunti facendo i pagliacci.
La comicità è una forma di comunicazione molto diretta che però ha il difetto, insieme con la pubblicità, di cadere facilmente nel banale e in seguito nel volgare, sminuendo così il ruolo comunicativo e intellettualizzante di tale mezzo.
Un autore italiano che ha sempre saputo conciliare a testi d’impegno, “intellettuali” politicamente, se vogliamo, una comicità satirica che mai annoia né manca di strappare un sorriso o una mezza risata, è Stefano Benni.
Lo scrittore emiliano è entrato da lungo tempo nella mia top ten di scrittori preferiti, posizione in gran parte guadagnata grazie al romanzo Saltatempo.
Saltatempo è un romanzo le cui tematiche principali si avvicinano a un’altra opera benniana, Margherita Dolcevita: è infatti un romanzo sul progresso. O contro il progresso. La trama presenta infatti un paesino di montagna, quasi un villaggio, all’inizio degli anni Cinquanta, un paesino con ancora fresca la memoria dei delitti del fascismo e delle imprese agrodolci dei partigiani. Memoria che, come viene anticipato nel romanzo, verrà persa.
Le anticipazioni, le visioni, giocano un ruolo chiave nella definizione del protagonista, Lupetto Saltatempo. Come in Comici spaventati guerrieri, Benni rivolta l’anima di ogni personaggio e gliela appiccica davanti al petto sotto forma di nome.
Saltatempo riceve da un Dio decisamente inedito l’”orobilogio”, il secondo orologio che misura lo scorrere del tempo delle singole vite che si incroceranno mano a mano con quella del protagonista. Così Saltatempo saprà in anticipo che fine faranno le persone che incontrerà, come finiranno, se manterranno o no le loro promesse.
Così Benni formula le sue teorie e i suoi anatemi sul fitto arabesco di personaggi quasi-stereotipati del libro, le cui parole vengono sempre commisurate alle azioni presenti e future e in base alla coerenza politica, individuale, etica, vengono giudicati ed eventualmente condannati.
Ma Saltatempo è anche un bildungsroman ambientato in un periodo agitato e impetuoso: Saltatempo lascia infatti la sua impronta sul selciato cruento del Sessantotto e porta con sé, per tutto il libro, un crescente bagaglio di esperienze e mistiche visioni, quasi lisergiche.
I suoi amori, le sue battaglie, il suo destino segnato già dalle prime pagine dalla sete di vendetta contro l’uomo che gli porterà via tutto, l’onorevole Fefelli, vengono descritti nel libro, che mescola, come le visioni dell’orobilogio e quelle del tempo storico, la vita individuale, interiore e sentimentale di Saltatempo e l’interazione di quest’ultimo con il mondo esterno, storico e politico dell’epoca.
Il paese senza nome è al di fuori di questo “tempo esterno” e vive il suo ritmo corale, quasi da villaggio di Verga, una comunità accogliente, nella quale le notizie si propagano in modo quasi osmotico, e nella quale la comune coscienza esclude senza possibilità di ritorno gli “outsider”, gli arricchiti, i disonesti, quelli che per amore del denaro hanno voltato le spalle a tutto.
Così il villaggio rappresenta un microcosmo, una mente-alveare, una grande “balotta” nella quale nessuno che viva secondo le regole, vale a dire le regole sopracitate di coerenza e fedeltà, rimane solo e privo di uno scopo.
“Tutte quelle ore che diventavano un attimo.”
Questa è la frase a mio dire più pregna del significato del romanzo, il punto focale di tutti i suoi obiettivi. Da sempre (non dobbiamo ingannarci e dire “nella nostra epoca”, basti pensare a Seneca o a Proust) il tempo sfugge all’uomo, si annida in mezzo alle mille cose da fare ogni giorno, e ne abbiamo sempre meno.
L’”orobilogio” di Saltatempo concede un potere grandissimo: quello di conciliare realtà presente e possibili futuri. Noi tendiamo sempre a nasconderci nel tempo, a giocarci, a ritenerci assolti in futuro per una colpa presente, ad esempio procrastinando impegni o adducendo le classiche scuse “non avevo tempo” o ancora meglio “ma è passato tanto tempo!”.
Viaggiamo tranquillamente su e giù per la nostra dimensione temporale, ed è triste come a volte non ci accorgiamo che è proprio così che lasciamo indietro le cose più belle. Grazie all’”orobilogio”, un uomo non ha più questa possibilità, non si può più nascondere nel tempo, ed è costretto a vivere, per un istante, un futuro soggettivo composto di tutte le piccole scelte che si fanno o che si subiscono. E’ il giudizio universale, una persona per volta.
L’ultima caratteristica dell’”orobilogio” è quella che conclude tutto in modo armonioso e circolare: esso è attivato dai rumori ritmici e consente Saltatempo di mettersi in contatto con le creature del folklore del villaggio.
Queste creature formano uno strato di poco superiore a quello degli abitanti, un ceto amichevole e conosciuto, che la coscienza collettiva riconosce da secoli e che sopravvive grazie alla sospensione del tempo all’interno del villaggio.
Questi esseri sono incarnazioni degli avvenimenti, delle forze naturali o dell’immaginazione, dello spirito collettivo degli abitanti o della crudeltà degli “outsider”, e sono espressione della negazione stessa del tempo, delle capacità umane e della loro mente che sopravvive al passare dei millenni, e la cui grande meraviglia è la riscoperta di un’ora he diventa un attimo.